Piero della Francesca. Il punto e la luce

Teatri delle diversità, n° 70/71/72, dicembre 2015 – maggio 2016

Piero della Francesca è l’anima, il genius loci che conduce a Sansepolcro e ad Arezzo, ancora oggi, la gran parte dei viaggiatori di tutto il mondo.
Dedicare a lui uno spettacolo non è una facile impresa e Luca Ricci, che ama le sfide e a Sansepolcro si spende da anni in una miriade di iniziative che vanno dal Festival Kilowatt a progetti europei sullo spettatore attivo, decide di tentarla.
La drammaturgia dello spettacolo “Piero della Francesca, il punto e la luce” è, a nostro avviso, l’elemento più riuscito dell’operazione ed è firmata da Lucia Franchi e Luca Ricci.
L’ambientazione è suggestiva, l’uso dei materiali video è drammaturgicamente motivato, gli attori sono ancora un po’ fragili, accademici, senza tormento (è la cifra generazionale, l’assenza di tormento e, di conseguenza, di estasi), la tematica è forte: astrazione, geometria, scienza, arte, costrutto in antitesi all’assenza di progetto. E, soprattutto, la vocazione come unica risposta alla volgarità dei tempi, quelli di Piero della Francesca, e i nostri.
Di Piero della Francesca si narra, si mormora, si sorride, ci si occupa e preoccupa attraverso la conversazione teatrale tra il suo giovane aiutante Paolo e la cognata di Piero, Giovanna; sono loro i suoi custodi, garanti di mostrarci come l’omologazione del gusto sia vecchia storia.
Il Sassetta imperversa con le sue madonne sorridenti e celestiali, Piero rompe regole, convenzioni ed equilibri e scopre il teatro, ce lo mostra per la prima volta in pittura, con lo straordinario Polittico della Misericordia che lo spettacolo prende ad ispirazione.
E, naturalmente, i più non comprendono.
Davvero contemporaneo resta dunque chi non è del tutto nel proprio tempo, come Agamben sottolinea in molte occasioni*.
A vedere questa piccola gemma teatrale siamo preparati, nel pomeriggio, attraverso una visita al Museo Civico di Sansepolcro, dove il Polittico è custodito, insieme all’opera somma di Piero – La Resurrezione – oggi in restauro grazie ad un primo finanziamento privato. (…)
*«Coloro che coincidono troppo pienamente con la loro epoca, combaciando perfettamente con essa in ogni punto, non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla» (Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo?, Nottetempo, I sassi, Roma 2008) .
www.ilgrido.org, 20 febbraio 2016

L’opera di un grande artista del Rinascimento, Piero della Francesca, raccontata da dietro le quinte, dal “retrobottega”. Siamo nel XV secolo a Sansepolcro: nella casa di una ricca famiglia di mercanti, si incontrano un apprendista intento a preparare i colori e le tele necessari al lavoro di Piero e una giovane donna, promessa sposa del fratello del pittore.
Il dialogo dei due, che evolve fra iniziali diffidenze e crescente curiosità, diventa l’espediente per spiegare allo spettatore le chiavi dell’arte di Piero della Francesca, le tecniche della sua pittura e le innovazioni da lui sperimentate. I rigorosi studi prospettici, l’attenzione per le proporzioni delle figure e per la composizione geometrica dell’immagine; i colori ad olio che prendono il posto della tempera, i cieli azzurri e luminosi che sostituiscono gli sfondi dorati tanto in voga all’epoca. Una riflessione che porta ad interrogarsi sul concetto stesso di arte: l’artista deve assecondare i gusti del pubblico e della committenza, oppure portare avanti la propria ricerca nonostante il rischio di non essere apprezzato? Deve lavorare per inseguire il successo, o per passione? L’arte è per pochi, o deve essere comprensibile a tutti? Può essere raccontata, spiegata, divulgata?
La scena di “Piero della Francesca, Il punto e la luce” gioca su più livelli, attraverso un gioco di trasparenze. I personaggi in scena, vestiti con i colori complementari del rosso e del verde, si muovono dietro un sottile pannello-finestra, sul quale vengono illustrate le leggi matematiche che sono alla base delle opere di della Francesca: sequenze numeriche, teorie prospettiche, strutture geometriche. Mentre, sullo sfondo, i video proiettati mostrano il lavoro preparatorio, dalla tessitura della tela alla miscelazione dei colori: i medesimi gesti artigianali che intanto il giovane apprendista mima sul palco. Vero protagonista della pièce resta il pittore, chiuso nel suo studio: sempre evocato, non compare mai.
La compagnia teatrale CapoTrave, di Sansepolcro come lo stesso Piero della Francesca, porta in scena uno spettacolo dall’impostazione didattica. Lo sviluppo di quanto avviene sul palco fra i bravi attori riesce nell’intento di far avvicinare lo spettatore all’arte di Piero della Francesca, e, concedendo soltanto pochi “assaggi” visivi delle opere, lo invoglia ad andarle a cercare, ad approfondire, a scoprire il linguaggio di un pittore straordinario. Perché è più importante «chi trova l’idea, di chi semplicemente la realizza».

www.teatro.persinsala.it, 25 novembre 2015

Al Teatro Sant’Andrea di Pisa va in scena Piero della Francesca. Il punto e la luce. Luogo oltremodo appropriato per illustrare l’opera del Maestro e le vicissitudini che tutti gli artisti innovatori hanno dovuto affrontare, nell’arco dei secoli. Un accurato uso delle luci permette di seguire la prova attorale attraverso un leggero telo trasparente, che funge anche da supporto per la proiezione delle immagini relative alle attività artigianali del Quattrocento – proprie del borgo di Sansepolcro – e al succedersi degli avvenimenti nella vita del pittore intorno al 1444.
Azzeccata la scelta di spiegare le ricerche pittoriche del periodo (uso della tecnica a olio, primi studi sulla prospettiva, superamento del fondale in oro) attraverso la voce di un assistente di Piero, il giovane Paolo (interpretato da Gregorio Di Paola). Questi, con l’escamotage di renderne edotta la cognata del Maestro (una simpatica Barbara Petti), racconta tutte le fasi della realizzazione del Battesimo di Cristo e del Polittico della Misericordia. Soprattutto riguardo alla prima opera, si nota la perfetta consonanza delle immagini video con le spiegazioni e si intuisce la novità dell’opera di Piero, per quanto riguarda la resa del paesaggio naturale, la luminosità coloristica, la maggiore naturalezza delle fattezze umane e della gestualità, i primi tentativi di visione prospettica.
Al di là delle tecniche emergono, con semplicità, anche altri discorsi, quali l’uso dell’arte come affermazione sociale, la necessità o il rifiuto di aderire a canoni predefiniti che si accordino al gusto della committenza e popolare. Una visione statica, immutabile, del diktat pittorico si scontra con le spiegazioni rese con semplicità da Paolo che, con l’ausilio di una sedia che avvicina o allontana dall’occhio dello spettatore e da quello della cognata di Piero, dimostra come un oggetto non abbia sempre le stesse dimensioni, perché è proprio la posizione dell’osservatore che le determina. In questo senso, il dialogo tra i due giovani dimostra sia una naturalezza che ben si coniuga all’azione scenica, sia rimandi anche metaforici al ruolo che il mediatore culturale (insegnante, critico, accademico o storico) può avere nella spiegazione di metodi e innovazioni dell’arte che il grande pubblico, forse ignaro, non può apprezzare di primo acchito, senza un minimo di preparazione. Inoltre, la figura dell’assistente è da notare perché apre a un mondo che ai più è sconosciuto, ossia quello della bottega d’arte e del duro lavoro di preparazione della tavola, che era svolto da questi invisibili maestri.
Si procede di pari passo, tra immagini di conti mercantili e calcoli matematici per la determinazione della prospettiva, alla composizione del Polittico della Misericordia. Un continuo rimando tra i due mondi – dell’artista e del committente – che non è solo diatriba economica ma anche squarcio sui rapporti all’interno del borgo rinascimentale, diviso tra la nuova borghesia e le vecchie signorie, matrimoni concordati, rapporti stato/chiesa, e le condizioni di una classe artigianale che sta tentando la propria scalata sociale.
La musica, composta al pianoforte da Giovanni Di Giandomenico e, poi, modificata elettronicamente accompagna la proiezione delle immagini dei calcoli matematici necessari all’elaborazione del Polittico (che si vedrà concluso solo nel finale) e ben si sposa nella sua contemporaneità all’uso dei video (che, forse, dovrebbe essere ancora un po’ sfoltito).
Uno spettacolo che suscita curiosità e la voglia di sfogliare qualche libro d’arte. Un progetto sicuramente valido per gli studenti di medie e superiori, grazie alla sua capacità di rendere fruibile la conoscenza dell’evoluzione (anche rispetto ai dogmi religiosi e non) dell’arte pittorica tra Medioevo e Rinascimento.

www.altrevelocita.it, ottobre 2015

(…) Piero della Francesca. Il punto e la luce della compagnia di casa Capotrave, firmato da Luca Ricci e Lucia Franchi, è il racconto di un frammento di biografia del pittore rinascimentale, anche se Piero non è mai presente. Ci sono il suo assistente e la moglie di suo fratello, due “comprimari” che vediamo discutere abitando una striscia del proscenio, le loro voci amplificate ci raggiungono creando un’intimità uditiva che suona naturale. Dicono di trovarsi nello studio dell’assistente, in una sorta di anticamera dell’arte, e di fronte a noi discutono di come si prepari il tavolo del pittore, dell’impasto di gesso e colla, di serie numeriche di Fibonacci e della conformazione della rappresentazione prospettica. Alle loro spalle un videofondale illustra e amplifica i discorsi tramite associazioni visuali (triangoli, parallelepidi, archi, curve fino alla celeberrima sagoma del Polittico della Misericordia), segmentandosi in tanti riquadri secondo una certa maniera da divulgazione scientifica. Si dibatte della scelta di Piero di non usare il broccato per rappresentare la Madonna, della sua rivalità con il pittore Sassetta, più tradizionalista e dunque gradito ai poteri locali. Si discetta di una sedia e della sua raffigurazione pittorica, che ha da cambiare in base allo spostarsi dello sguardo nello spazio (la prospettiva). In un continuo rimbalzo fra il dialogo dei personaggi e il loro mascheramento in divagazioni dal piglio narrativo (Piero e il suo anticipare i tempi a costo di non esserne compreso, l’olio che diluisce i colori dando il nome alla stessa pittura “a olio”), lo spettacolo procede spedito secondo un registro recitativo e registico che porta il Rinascimento in un contesto colloquiale, prossimo alla nostra quotidianità. (…)
www.lavoroculturale.org, 31 luglio 2015

(…) Piero della Francesca, il punto e la luce, di Luca Ricci e Lucia Franchi (fondatori e menti del festival), cerca di far capire quanto fosse dirompente e poco compresa l’arte di Piero della Francesca, negli anni in cui, recluso, le dava vita.
L’impostazione pedagogica dello spettacolo lascerà in alcuni la voglia di vedere con altri occhi le opere di Piero della Francesca (e non solo), mentre in altri lascerà invece una pulce all’orecchio: che di Pieri della Francesca ce ne siano in giro anche oggi, e che di molti di questi non ci stiamo accorgendo.
Non è questione di giustizia, né di orgoglio; ne va invece del nostro stare al mondo lasciandosi colpire, anche attraverso la creazione artistica, da quel raggio di luce al negativo che, scrive Giorgio Agamben, è il contemporaneo: «Contemporaneo è chi riceve in pieno viso il fascio di tenebra proveniente dal suo tempo». (…)
La Repubblica, 26 luglio 2015

(…) Piero della Francesca. Il punto e la luce è la storia molto dettagliata degli studi sulla prospettiva e sui colori del grande pittore e genio locale di Sansepolcro (imperdibile la visita a “La Resurrezione”) legati alla progettazione e fattura della “Madonna della Misericordia”, presentata proprio nel luogo dove il polittico era destinato, la chiesa, ora diventata la sede toscana della compagnia di Luca Ricci, direttore del festival, autore con Lucia Franchi del testo e regista. Lo spettacolo è una sorta di deviazione anche dal suo teatro: quello che conta è il valore dell’omaggio e della propedeutica alla pittura di Piero, l’operosità artigianale delle sue ricerche nella Sansepolcro del 1444. (…)
www.rumorscena,com, 24 luglio 2015

SANSEPOLCRO (Arezzo) – Due proposte diametralmente opposte quelle presentate a Kilowatt Festival: la prima assoluta di Piero della Francesca. Il punto e la luce – per la regia di Luca Ricci – e a seguire la danza minimal chic di Zerogrammi.
Il nuovo lavoro di CapoTrave si avvale del Teatro Alla Misericordia (sede della Compagnia) per suggestionare immediatamente il pubblico che si vede catapultato nel 1444/45 quando, in questo stesso spazio, Piero della Francesca ottiene (si presume) la prima commissione pubblica e il relativo riconoscimento da parte della propria comunità.
È un momento importante nella vita del pittore (che presto lascerà il borgo di Sansepolcro) ma la prospettiva (curioso rimando anche simbolico) scelta da Ricci non è quella del protagonista, preferendo descrivere questo momento topico attraverso gli occhi dell’assistente di Piero e quelli della moglie del di lui fratello. Scelta curiosa e suggestiva che permette, da una parte di scoprire le tecniche di preparazione della tavola, e quel duro tirocinio di bottega dal quale molti pittori e scultori di fama sono passati. Dall’altra, dà voce a una figura femminile, a tutto tondo e non relegata in cucina o a partorire una folta prole, che impersona perfettamente la difficoltà dei contemporanei a comprendere l’innovazione in arte ma anche il lento e progressivo abbandono di falsi preconcetti, quando messa di fronte, con semplicità e senza paroloni, alle nuove regole della prospettiva.

Discorso complesso quello proposto da CapoTrave, ben articolato grazie alla recitazione di due giovani attori ancora un po’ acerbi ma che dimostrano di credere nei loro personaggi e, soprattutto nel caso di Gregorio Di Paola, di avere delle buone capacità espressive e vocali. Un testo che tra bisticci futili e piccoli fatti di famiglia (che movimentano la scena, soprattutto all’inizio), quando si deve decidere del futuro matrimonio della giovane con il fratello di Piero, riesce a ricreare quel microcosmo di casa/bottega che ha caratterizzato l’Italia del Rinascimento.
Meno convincente risulta la moltiplicazione dei linguaggi con un’introduzione forse troppo ridondante del video. Mentre le immagini diegetiche, come le logge che si trasformeranno nel Polittico della Misericordia, sono funzionali e ben si collocano nell’essenziale messinscena reale (composta semplicemente da un tavolo e da una sedia), altre immagini, quali il viaggio presentato come percorso su una cartina d’epoca, servono bene a contestualizzare l’azione ma, essendo anticipatorie rispetto all’azione stessa, non sono immediatamente collocabili nel fluire degli eventi proposti. Infine, vi sono immagini – come quella del cavallo – che finiscono per assomigliare a intermezzi tra due scene, frammentando la narrazione e allontanandosi dall’essere espressioni di un linguaggio che dovrebbe dialogare con quello teatrale, fondendosi per ricreare un’opera unitaria.

Una curiosità riscontrata è l’apparente contraddittorietà tra uno dei temi affrontati nello spettacolo, ossia la difficoltà per l’artista di talento di far accettare le proprie innovazioni al grande pubblico e alla committenza e il progetto Be SpectACTive!. Quest’ultimo, presentato nel corso del Festival grazie a un’interessante conferenza internazionale e al quale partecipava anche CapoTrave, vuole dare agli spettatori il ruolo di co-autori degli spettacoli. Ma il dubbio che è sorto durante il convegno ritorna: si può educare (utilizzando il termine in maniera non pedagogica) il pubblico ai nuovi mezzi e linguaggi; perché sia maggiormente pronto ai cambiamenti e, nel caso non lo si faccia, come possono essere pronti gli spettatori a supportare l’innovazione, a comprendere di getto la portata di un talento o la creatività di un artista fuori dagli schemi? (…)